Attraverso la lente dell’umanità

In occasione della Giornata Mondiale dell’Aiuto Umanitario, il videografo e fotografo Majdi Samman parla delle sue esperienze nelle zone di conflitto e dove cattura testimonianze con la macchina fotografica.

“Sono cresciuto nei Territori Palestinesi Occupati, e sono stato esposto a un mondo che la maggior parte delle persone vede solo attraverso le notizie. I disordini, il dolore, la speranza, la resilienza: questa era la quotidianità per me.

“Questa esperienza ha plasmato la missione della mia vita e mi ha preparato per il mio ruolo di fotografo con Islamic Relief.

“Nel mio lavoro, ho viaggiato in alcuni dei luoghi più afflitti del mondo. Dalle regioni in guerra della Siria, alla catastrofica esplosione in Libano, ai villaggi colpiti dalla carestia della Somalia e alle aree più povere del Mali, ho visto l’umanità nella sua forma più vulnerabile. Il mio obiettivo è catturare questi momenti e le emozioni crude di questi momenti difficili”.

Il potere delle immagini

“Dicono che una fotografia o un video valga più di mille parole, è una finestra sulle zone più conflittuali del mondo e uno sguardo intimo su vite che altrimenti resterebbero invisibili. Per molti, queste immagini sono la prima e forse unica immagine di tragedie lontane. Il potere dell’obiettivo non è solo nell’immagine che cattura, ma anche nella narrazione che costruisce.

“Durante la mia visita in Siria, ho incontrato bambini che avevano visto troppo per la loro giovane età. I loro occhi portavano storie di perdita e sopravvivenza, ma anche di speranza. Le immagini che ho catturato lì non solo raccontano la storia di una crisi durata 12 anni, ma mostrano anche la resilienza dello spirito umano”.

L’impatto dell’essere testimoni di crisi umanitarie

“Essere nel mezzo della sofferenza così profonda ha inevitabilmente plasmato la mia visione del mondo. Nei remoti villaggi del Mali ho trovato persone le cui vite sono fondamentalmente diverse dalla mia ma i cui sogni, paure e amore sono gli stessi.

“Ogni anno, negli ultimi tre anni, sono tornato in Bosnia per l’anniversario del massacro di Srebrenica. Insieme ad altri, partecipo alla preghiera funebre svolta per le decine di vittime che vengono trovate ogni anno. Questi corpi appena scoperti vengono sepolti in una solenne commemorazione. L’esperienza è straziante ma necessaria, un modo per onorare i perduti e per non dimenticare mai le lezioni che la storia ci ha insegnato.

“L’esplosione in Libano è stata un promemoria viscerale di quanto velocemente la vita può cambiare. Ero lì, a catturare le conseguenze, vedere lo shock negli occhi delle persone e la comunità che si univa per ricostruire. Queste immagini non riguardavano solo la devastazione, ma anche la forza del popolo libanese”.

Una missione vicino a casa

“Quest’anno una calamità ha colpito vicino casa, in Turchia, dove risiedo con la mia famiglia. Vivere in Turchia negli ultimi 11 anni mi ha permesso di connettermi profondamente con il paese e la sua gente. Quando il terremoto ha colpito, non ero solo un fotografo che catturava gli eventi; ero parte della comunità. Lavorando a fianco di Islamic Relief, abbiamo sostenuto e aiutato le persone colpite, fornendo aiuto materiale e supporto emotivo.

“Le mie esperienze mi hanno insegnato che anche nei momenti più difficili c’è un filo conduttore di umanità che ci lega tutti. Il mio obiettivo mi ha permesso di catturarlo e credo che sia mia responsabilità mostrarlo al mondo.

“Voglio che le persone vedano i volti dietro le notizie, per capire che queste non sono solo storie lontane. Non possiamo voltare le spalle a ciò che è scomodo; dobbiamo impegnarci, entrare in empatia e agire.

“Attraverso il mio lavoro con Islamic Relief, spero di continuare a usare la mia macchina fotografica come voce e strumento per far luce su ciò che è invisibile. Alla fine, siamo tutti connessi ed è attraverso la comprensione e l’empatia che possiamo fare davvero la differenza”.

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